Quando si parla di “disruptive technology” bisogna intendersi sul significato che si vuole attribuire al termine. In letteratura non c’è una definizione univoca e nel tempo il concetto è stato declinato in diverse accezioni parlando di “disruptive innovation” e “digital disruption”. Senza la presunzione di darne qui una definizione facciamo riferimento al significato “comune” che gli viene assegnato. È più che sufficiente!
Con la buona pace dell’autore che l’ha coniato intendendo una cosa un po’ diversa [1], il termine “disruptive” viene utilizzato per indicare una situazione nella quale un settore di mercato è sconvolto, o addirittura distrutto. I player tradizionalmente dominanti hanno dovuto soccombere di fronte a piccoli competitor che hanno saputo cogliere velocemente le opportunità offerte dalle nuove tecnologie. Si pensi, ad esempio, al grande successo di Amazon, Apple, Uber, Netflix e Airbnb. Mentre queste aziende si guadagnano gli onori della cronaca, aziende grandi e affermate già da decenni si stanno rendendo conto che le tecnologie dirompenti possono fornire un vantaggio competitivo non necessariamente legato ad un’idea di business che sia essa stessa disruptive. Piuttosto per migliorare la soddisfazione del cliente, incrementare l’efficienza dei dipendenti e abbreviare i tempi dei progetti (mica poco!).

Top Disruptive Technology (©2018 Project Management Institute)
Questo è quello che emerge da un rapporto del Project Management Institute (PMI) che descrive i risultati di un’intervista a 1.700 manager di aziende di ogni tipo di tutto il mondo [2]. È stato chiesto loro se e come sfruttano la tecnologia per cambiare il modo di operare e il modo di gestire progetti, e quali effetti hanno ottenuto.
Analizzare questo rapporto è un primo passo piuttosto semplice per avere un’idea degli effetti della disruption su aziende reali e vuole essere solo uno stimolo critico ad approfondire il tema ed immaginare il nostro futuro per orientarlo dalla parte di chi matura e non soccombe.
Gli intervistati
Per classificare le aziende intervistate sono stati analizzati gli aspetti strategici, le priorità, il profilo di rischio, la gestione del cambiamento, e l’uso di nuove tecnologie. Attraverso questi obiettivi, ci si è concentrati su due livelli di performance:
Innovatori (Innovators): costituiscono il primo 12% del totale delle aziende intervistate. Hanno una strategia di digital transformation matura, sono tolleranti al rischio, prendono in considerazione cambiamenti a livello organizzativo per prodotti o servizi importanti, e considerano ad alta priorità l’adozione di tecnologie disruptive.
Ritardatari (Laggards): rappresentano il 14% delle aziende che hanno partecipato al sondaggio. Non hanno una strategia di trasformazione digitale matura (o non ne hanno affatto), sono avverse al rischio e prendono in considerazione l’adozione di tecnologie disruptive con una priorità molto bassa.
Il 91% delle organizzazioni intervistate ha dichiarato di essere impattato dalle disruptive technologies. Una tecnologia dirompente può essere uno strumento o una risorsa impiegata nella produzione (ad esempio, AI, stampa 3D). Oppure può trattarsi del prodotto finito o del servizio stesso (ad esempio un veicolo a guida autonoma). La classifica di queste “perturbazioni” che stanno scalzando tecnologie consolidate e scuotendo il mercato globale emersa dalle interviste è indicata in figura.
Alcuni risultati interessanti
- Il 71% dei progetti gestiti dalle aziende innovatrici riesce a soddisfare gli obiettivi prefissati contro il 60% dei ritardatari.
- Il 67% degli innovatori completa i progetti rispettando il budget contro il 55% dei ritardatari.
- Il 61% degli innovatori completa i progetti rispettando i tempi contro il 48% dei ritardatari.
Una prima osservazione, dunque, è che non necessariamente i ritardatari chiudono i battenti. Sono in grado di raggiungere i risultati, di rispettare tempi e budget. Certamente, però, sono meno performanti. Ma cosa accadrà se, perseverando nei propri modelli di management e ignorando le tecnologie disruptive, la distanza di queste performance crescerà nei prossimi 5 anni?
Difficile da prevedere perché i “perturbatori” di oggi vanno oltre la tecnologia pura. Stanno trasformando tutto: il modo in cui si vende, il modo in cui si comunica, si collabora, ci si forma e molto altro. E, anche se un’azienda potrebbe non subire al momento l’impatto delle tecnologie disruptive, non è detto che nel corso del tempo non accada di diventare troppo poco competitivi. Avere le antenne alzate è necessario per sopravvivere e, possibilmente, prosperare.

Project Outcomes (©2018 Project Management Institute)
Top 3 disruptors
Le 3 tecnologie più importanti emerse dall’intervista sono:
1. Soluzioni Cloud
L’84% degli innovatori afferma che il cloud sta offrendo alla propria azienda un vantaggio competitivo, rispetto al 57% dei ritardatari. Le soluzioni cloud possono aumentare la flessibilità e ridurre i costi a livello di progetto. Il cloud computing consente di accedere a pool condivisi di risorse configurabili e solitamente migliori di quelli disponibili in casa. Per la gestione dei progetti il cloud offre nuovi livelli di collaborazione e di accesso alle informazioni.
2. Internet of things (IoT)
Il 62% degli innovatori afferma che l’Internet of things sta fornendo alla propria azienda un vantaggio competitivo, rispetto al 26% dei ritardatari. L’IoT comprende un vasto ecosistema digitale emergente che collega dispositivi per raccogliere e scambiare informazioni. Per la gestione dei progetti, l’IoT offre una maggiore pervasività consentendo di ottenere dati sempre più accurati per il supporto alle decisioni (si pensi, ad esempio, a chi si occupa di logistica o monitoraggio strutturale in edilizia)
3. Intelligenza artificiale (IA)
Il 60% degli innovatori dice che l’Intelligenza Artificiale sta offrendo alla propria azienda un vantaggio competitivo, rispetto al 22% dei ritardatari. Essa abilita le macchine a fornire un processo decisionale molto rapido e affidabile basato su grandi quantità di informazioni. L’IA aiuta a ridurre l’errore umano, ad esempio, nel creare budget, prevedere gli sforamenti dei costi etc. L’IA potrebbe supportare anche il monitoring e il change management dei progetti. Questi miglioramenti permetterebbero ai manager di dedicarsi ad attività in cui l’intelligenza artificiale non è applicabile (il team building ad esempio).
Di fronte a questi risultati viene voglia di essere ottimi innovatori. Ma cosa bisogna fare? Secondo gli intervistati una delle chiavi di volta è rappresentata dalle Next Practices, ossia andare oltre quanto già sperimentato dagli altri verso la differenziazione.
Coltivare le next practices
È prassi identificare e misurare le prestazioni aziendali rispetto alle “best practices” del settore di riferimento. Ma adottare le best practices esistenti ha senso se si vuole migliorare le prestazioni del modello di business tradizionalmente adottato e standardizzato. Andare oltre per sfruttare al meglio le disruption techonologies richiede una capacità di fare rete e di investire in R&D anche per nuovi modelli di business. L’imperativo è partire dalle best practices per esplorare e sviluppare le proprie next practices [3]. Molti degli innovatori intervistati hanno riconosciuto il valore di cercare al di fuori del proprio settore le attività che hanno favorito un vantaggio competitivo.
I modelli di business, come le tecnologie, non durano così a lungo come una volta. I leader devono identificare e sperimentare le next practices che ricombinino capacità e competenze al fine di trovare nuovi modi per fornire valore ai clienti. In quest’ottica ha senso (anzi è vitale) fare R&D anche per nuovi modelli di business e non solo per nuovi prodotti e tecnologie. Mentre continuano a remare per produrre valore con i modelli di business attuali, gli innovatori si assicurano che una parte del proprio tempo (e quello delle proprie risorse) sia dedicato all’esplorazione delle next practices.
Alcune next practices degli intervistati
Alcune next practices utilizzate con successo nelle aziende innovatrici del rapporto del PMI sono elencate di seguito (suggerisco di leggere i dettagli delle esperienze direttamente dal rapporto [2]):
- Far lavorare insieme i team di R&D con i team di produzione per produrre valore; adottare una piattaforma DevOps per implemetare Continuus Integration e Continuus Delivery (Infosys)
- Avvalersi di team virtuali per riunire idee e talenti, risorse e opportunità a distanza (Ericsson)
- Organizzare gli spazi di lavoro fisici, mentali ed emotivi dei dipendenti per favorire la co-creazione (Bain & Company)
“Innovator organizations realize that disruptive technologies can give them a competitive advantage by improving the customer experience, enhancing employee efficiency, and shortening project timelines.” Mark Langley (PMI President and CEO)
Riferimenti
[1]. Disruptive Technologies: Catching the Wave
[2]. Maximizing the Benefits of Disruptive Technologies on Projects
[3]. Next Practices vs Best Practices