In questo periodo, causa Coronavirus, si sente molto parlare di Smart Working. Cerchiamo di capire insieme cos’è ed i pro e i contro.
Con il Dpcm del 23 febbraio 2020, il Governo è intervenuto per rendere più immediato il ricorso allo smart working, o “lavoro agile”, nelle aree considerate a rischio per l’emergenza Coronavirus. In tali aeree, per favorire il normale svolgimento dell’attività lavorativa, il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri consente l’attivazione dello smart working anche in assenza dell’accordo individuale.
Il lavoro agile (o smart working) è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali e un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro; una modalità che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorire la crescita della sua produttività.
La definizione di smart working, contenuta nella Legge n. 81/2017, pone l’accento sulla flessibilità organizzativa, sulla volontarietà delle parti che sottoscrivono l’accordo individuale e sull’utilizzo di strumentazioni che consentano di lavorare da remoto (come ad esempio: pc portatili, tablet e smartphone).
Ai lavoratori agili viene garantita la parità di trattamento – economico e normativo – rispetto ai loro colleghi che eseguono la prestazione con modalità ordinarie. È, quindi, prevista la loro tutela in caso di infortuni e malattie professionali, secondo le modalità illustrate dall’INAIL nella Circolare n. 48/2017. Ma in che modo sta evolvendo questa tipologia di lavoro?
A chiederselo sono stati anche i ricercatori di Yac, una audio-first collaboration platform pensata per i remote team, che hanno pubblicato di recente un report, chiamato “The Shifting State of Remote Work“, dedicato ai trend del settore.
A presentare i risultati dell’indagine è stato il fondatore di Yac Hunter McKinley sul blog ufficiale dell’azienda:
Negli ultimi 3 anni Buffer ha condiviso i propri report di ricerca sul mondo del remote working, coinvolgendo nei sondaggi migliaia di lavoratori da tutto il mondo. L’obbiettivo di tali ricerche era capire quali sono i trend di tale settore.Visto che molte delle domande poste agli intervistati sono rimaste le stesse nel corso degli anni abbiamo iniziato ad osservare delle tendenze ben precise, soprattutto per quanto riguarda le preferenze dei remote worker.
Il team di Yac si è dunque basato sui dati raccolti da Buffer, una social media management platform, per capire cosa è cambiato in questo settore nell’arco degli ultimi tre anni.
I benefici del lavoro in remoto
Nel report di Buffer del 2018 emerse che i remote worker sceglievano tale tipologia di lavoro per due motivi in particolare: avere una schedule giornaliera più flessibile (43% delle risposte) e poter passare più tempo con la propria famiglia (15% delle risposte). In questi 3 anni la situazione non è cambiata molto e i lavoratori tech continuano a scegliere il remote work principalmente per queste motivazioni.
Gli aspetti negativi
Secondo gli intervistati le principali difficoltà che i remote worker devono affrontare sono:
- difficoltà di comunicazione con il resto del team (20%);
- solitudine (20%);
- non riuscire a staccare la spina dal lavoro (18%).
- cyber crime, per l’accesso ai dati
Le difficoltà di comunicazione derivano molto probabilmente dall’inadeguatezza degli strumenti adottati dai vari team. Spesso l’email o la videoconferenze non bastano per colmare tutti i dubbi o le perplessità, dunque può capitare che si vengano a generare delle incomprensioni tra i vari membri di un gruppo di lavoro.
Quanto è diffuso il remote working nelle aziende?
L’ultimo rapporto di Buffer fa emergere un quadro molto chiaro sulla diffusione di questa tipologia di lavoro. Il 30% del campione afferma infatti che la sua azienda lavora esclusivamente con i remote worker, mentre il 43% risponde che metà dei suoi colleghi operano esclusivamente da remoto.
Livelli salariali

Dall’analisi dei dati emerge un dato molto interessante, sembra infatti che in questi anni i livelli salariali dei remote woker stiano iniziando ad aumentare. Nel 2018 il 28% degli intervistati dichiarava di guadagnare meno di 25 mila dollari all’anno. Il 58% tra i 25 ed i 125 mila dollari ed il 13% dichiarava oltre 125 mila dollari.
Voi cose ne pensate? Vi piacerebbe lavorare da casa?
Fonte: html.it – lavoro.gov.it