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Canopy, l’assistente personale GDPR compliance

Da uno dei fondatori di Spotify, arriva l’app che ci consiglierà musica, libri, eventi, film, articoli ma anche luoghi, scenari, suoni. “Raccoglierà le informazioni per noi, ma non ne comunicherà all’esterno rispettando la privacy”

I nastri dati negli ultimi anni sono diventati merce di scambio online, per profilare e vendere servizi o prodotti. Con l’introduzione del GDPR, la situazione è stata regolamentata, ma come possiamo evitare che i nostridati restano veramente in nostro possesso? Una novità arriverà a breve, si chiama Canopy ed è una app informativa e di suggerimenti di acquisto o esperienze basata sull’analisi dei gusti degli utenti,  che fra qualche mese comparirà sugli store Android e probabilmente iOS. Nella sua traduzione più letterale – “canopia” o “canopea” – indica nelle foreste la chioma delle piante e degli alberi. Una sorta di tetto per viandanti ed esploratori che in qualche modo potrebbe proteggere dal sole, dalla pioggia e da chissà cos’altro. 
Con buona pace di tutti i servizi digitali di uso comune che invece ogni secondo vendono le nostre informazioni al miglior offerente. Canopy, vuol cambiare il web in maniera radicale e se non avesse alle spalle Brian Whitman l’avremmo presa come l’ennesima operazione velleitaria.

Ed è qui forse il senso di progetto che punta a mediare tra l’esigenza di privacy e i bisogni da soddisfare. Oggi, più o meno legalmente, ogni nostra azione digitale viene tracciata ed elaborata dai colossi del Web o da specialisti mercenari. Canopy punta ad analizzare le nostre abitudini grazie al machine learning poi consigliare brani musicali, libri, articoli, concerti, luoghi, etc. Il tutto lasciando i dati residenti sullo smartphone e con la promessa di non condividerli con nessuno. Una sorta di “maggiordomo” discreto.

Sulla carta appare come una soluzione vincente e soprattutto una proposta alternativa all’attuale dinamica di mercato. 


“Il mio lavoro a Spotify era quello di aiutare le persone a trovare la musica che volevano ascoltare anche se non sapevano quale fosse”, ha spiegato Whitman al quotidiano. “Ad un certo punto abbiamo iniziato a mettere in contatto il pubblico con i musicisti e con i concerti… Se arrivi a dare il giusto consiglio, l’impatto può esser davvero significativo per entrambe le parti. Così ho cominciato a immaginare un sistema che potesse arrivare a suggerire suoni, film, mostre, negozi, panorami, persone. Ma per una volta rispettando completamente la privacy”.

“Canopy è il primo sistema di consigli che i dati li tiene sul telefono”, prosegue Whitman. “Funziona perché gli smarphone di oggi sono abbastanza potenti da gestire un algoritmo che opera al loro interno. Ed è l’algoritmo che interpreta i tuoi gusti secondo quel che fai suggerendo una certa cosa e spiegando perché te la sta mostrando”.

Il progetto partirà raccogliendo le informazioni degli utenti tramite i podcast, per poi integrare altre fonti dati. Quando lavorava a Spotify, Whitman aveva messo a punto una tecnologia capace di capire molto di una persona anche solo dalla scelta di quattro o cinque canzoni. Stavolta immagina serviranno un paio di giorni e via via Canopy diventerà sempre più precisa e senza nemmeno controllare quel che facciamo sui social network. O almeno così sostiene lui. Vedremo se andrà davvero in questo modo.

L’unico interrogativo rimane per ora il modello di business. “Come faremo i soldi? Non è un problema che ci stiamo ponendo al momento. Per ora abbiamo finanziamenti a sufficienza per occuparci solo della tecnologia ed esser certi che funzioni. C’è una crisi di credibilità delle grandi compagnie del Web, di qui la necessità di cambiare”, ha confermato l’esperto.

 “Siamo arrivati ad un punto molto pericoloso nell’evoluzione del Web. Sono preoccupato per quel che potrebbe accadere: già ora le grandi piattaforme stanno cominciando a mettere le persone le une contro le altre senza nemmeno rendersi conto di quel che fanno. Tutto pur di tenere incollati gli utenti agli schermi il più a lungo possibile. Bisogna iniziare a porre dei limiti e tornare a quel che era una delle funzioni chiave del Web: la scoperta”.

Fonte: La Repubblica

Michele Russo: Partenopeo, ingegnere Informatico. Lavoro come Software Engineer in Maggioli dal 2016 per l'area Portali, nello specifico JcityGov, portale per i servizi al cittadino. Amo tutto quello che contiene bit. La mia vita privata resta privata ;)
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