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Il brainstorming

brainstorming

Il termine, che letteralmente si traduce in ‘tempesta di cervelli’, rappresenta uno dei principali metodi che possono essere applicati per stimolare il problem solving.
Il Brainstorming, come modello, è stato ideato negli anni cinquanta da Alex Osborn, e trovò un’applicazione ideale soprattutto nel mondo della pubblicità, ma si diffuse poi in molti altri ambienti nei quali la creatività rappresentasse un elemento critico per il successo delle organizzazioni.
Il metodo, nella sua forma base, consiste in una discussione di gruppo guidata da un animatore, il cui scopo è trovare e far emergere il maggior numero di idee possibile su un argomento precedentemente definito; solo al termine di questo compito si potrà poi selezionare, criticare e valutare tra tutte le idee prodotte.
L’uso del Brainstorming è fondamentale per applicare la forza di un gruppo nel trovare idee e soluzioni, esplorare concetti, rilevare informazioni altrimenti difficilmente osservabili, e, allo stesso tempo, il brainstorming è anche uno tra gli strumenti principali al fine di sviluppare una “intelligenza diffusa” in azienda.

Il brainstorming «insiste soprattutto su una funzione che è rapportabile ai tre principali fattori del pensiero divergente: la capacità di produrre molte idee, diversificate e insolite, l’interazione fra le persone e la moltiplicazione dello sforzo di ciascuno con quello di un altro».
Le sedute di brainstorming riguardano solo le ultime due fasi di una processualità che comprende:

  1. la definizione del perimetro e la scomposizione del problema;
  2. la raccolta di informazioni inerenti al problema;
  3. la produzione delle idee nuove, ovvero la parte creativa del processo;
  4. la decisione e la valutazione delle idee.

Queste ultime due fasi si svolgono in gruppi che contano «da 5 a 10 persone che lavorano nello stesso luogo dove si vuol risolvere il problema».

Le regole del brainstorming

Tra le varie attività di soluzione di un problema, il brainstorming ricade nella categoria dei processi di comunicazione, opportunamente stimolati e indirizzati con l’obiettivo di far scaturire il massimo numero di idee utilizzabili nel minor tempo possibile.

Per ottenere questo, nella prima fase della sessione si devono rispettare alcune regole base:

  • non criticare e non autocriticarsi;
  • sfruttare tutto ciò che emerge di insolito;
  • prediligere la quantità piuttosto che la qualità delle idee;
  • costruire sulle idee degli altri.

L’importante è pensare che non ci siano idee sbagliate e che, in questa fase, non serve valutare se l’idea sia realizzabile o meno. Talvolta, idee inusuali e apparentemente impraticabili possono condurre a innovazioni importanti. È fondamentale che i partecipanti non siano frenati dai propri preconcetti, perciò occorre stimolare, se non incentivare, anche la produzione di idee stupide o le “peggiori idee” che permettano di risolvere un problema. Solo così ci si può liberare dalle assunzioni e pensare veramente out of the box.
La sessione non deve essere troppo breve, in modo da permettere di andare oltre le prime idee, ma neanche troppo lunga: è impossibile mantenere per più di un’ora l’energia produttiva necessaria per una sessione di brainstorming. Talvolta può essere utile spezzare una sessione lunga in tanti segmenti, in cui si utilizzano stimoli e tecniche diverse.
Anche l’ambiente ha una sua importanza: il luogo in cui si svolge il brainstorming deve essere appositamente preparato, in modo da consentire, se possibile, alle persone di muoversi e camminare. Secondo uno studio di due docenti di Stanford, passeggiare aiuta il pensiero divergente e la produzione di idee creative. Queste possono essere postate lungo le pareti, predisponendo appositi spazi, lavagne, flipcharts, poster ecc.

Nella seconda fase, a volte realizzata in una sessione successiva, si valutano le idee prodotte in modo critico, selezionando quelle che realmente potranno essere adottate.
Può risultare utile formare gruppi composti sia di soggetti esperti dell’argomento, sia soggetti estranei al problema in questione. Le persone invitate a una sessione di brainstorming dovrebbero avere diversi punti di vista ed expertise nell’argomento.
Inoltre, a seconda dei temi, potrebbe essere utile avere gruppi diversi: ovvero invitare persone diverse alla fase di produzione delle idee rispetto a quelle che poi le valuteranno e prenderanno la decisione finale.

Un altro aspetto importante riguarda la dimensione ideale dei gruppi, consolidata in base a quella comunemente definita come two-pizza rule, attribuita a Jeff Bezos fondatore e CEO di Amazon, secondo il quale il team ideale è composto da numero di persone che possono essere ‘sfamate’ con due pizze: ovvero tra 6 e 8 persone…
Nel nostro caso, adotterei un criterio diverso, per evitare il rischio di avere troppi gruppi composti da una sola persona.

La conduzione

Il conduttore ricopre un ruolo chiave nelle sessioni di brainstorming: egli infatti deve conoscere bene il perimetro del problema da sottoporre – pur non essendo necessariamente un esperto – e deve istruire i membri dei gruppi alle regole inerenti al metodo e alle tecniche che saranno utilizzate nei vari segmenti della sessione.
Chi conduce un gruppo di brainstorming ha il compito di stimolare l’interesse dei partecipanti e porsi con atteggiamento di ascolto, di apertura fiduciosa raccomandando di non porsi limiti e di esprimere e/o scrivere tutte le idee che pervengono, anche se confuse.
La formulazione delle richieste da sottoporre ai gruppi va preparata accuratamente e deve presentarsi in forma aperta, in modo da permettere ai partecipanti del gruppo di spaziare e non fissarsi sulla consuetudine.
Alla chiusura della seduta è ancora compito dell’animatore riassumere le idee espresse dal gruppo e chiedere ai partecipanti di comunicargli tutte le idee che possano presentarsi nelle ventiquattr’ore successive, poiché queste idee sono talvolta le migliori.
Spesso, infatti, il brainstorming serve maggiormente da ausilio all’attività intellettuale e creativa del singolo, fornendogli gli stimoli in grado di far scaturire un maggior numero di idee.

Quali aspetti possono rendere inefficace una Brainstorming?

L’esperienza pratica dimostra che, se non ben strutturato, il brainstorming può degenerare, soprattutto se ci sono conflittualità tra i partecipanti o se pochi di essi monopolizzano la discussione.
Secondo alcuni studi infatti, in un tipico gruppo di sei persone in media due di esse, spesso, riescono a catalizzare il 60% del dibattito, inibendo in pratica la possibile partecipazione di altri membri del gruppo.
Si tratta di un effetto che, a mano a mano che il gruppo diventa più grande, si amplifica.
Quando questo accade, le persone meno aggressive tendono a sedersi e lasciare ad altri il lavoro, istintivamente imitano le opinioni degli altri e perdono di vista le proprie e spesso soccombono alla pressione dei pari.
Gregory Berns, neuroscienziato della Emory University ha scoperto che quando prendiamo una posizione diversa da quella del gruppo, si attiva l’amigdala, un piccolo organo del cervello associato alla paura del rifiuto. Il professor Berns la chiama sofferenza dell’indipendenza.
In questi casi è compito del Conduttore rilevare questa condizione e cercare di riequilibrare i pesi delle opinioni in un gruppo per evitare che il confronto divenga un soliloquio sterile.
Di contro, una certa animosità può essere positiva, infatti alcuni ritengono che sia proprio l’attrito umano a causare la scintilla: sebbene le discussioni siano occasionalmente spiacevoli, non possono essere evitate. “Alla lunga il criticismo è costruttivo, spinge le persone a impegnarsi a un livello più profondo”.
Il fatto è che la creatività “germoglia all’improvviso”, senza un apparente modello in grado di farla nascere, ma di certo solamente in presenza di una serie di stimoli (positivi o avversi) provenienti da diverse direzioni.
Alcuni studi degli ultimi dieci anni hanno analizzato i risultati della tecnica di brainstorming. Si va dalle ricerche di Keith Sawyer, psicologo dell’Università di Washington, che ha dimostrato come il brainstorming produce un minor numero di idee rispetto a quello di persone che lavorano da sole e poi le mettono in condivisione, a quelli di Charlan Nemeth, accademica di Berkeley, che separò due gruppi di studenti ordinando di risolvere il medesimo problema in maniera diversa. Il gruppo del brainstorming era più produttivo di quello a cui non erano state date istruzioni. Tuttavia, il secondo raggruppamento, partendo dalla critica e dalla discussione delle idee, era più creativo.

Alcune possibili evoluzioni: brainwriting

Il brainstorming ha comunque il grande merito di essere il capostipite di una nuova serie di tecniche di creatività, come per es. il brainwriting, che permette sia alla creatività individuale che a quella di gruppo di esprimersi.
Il brainwriting fu ideato e applicato negli anni Ottanta da VanGundy.
Si fanno sedere 4-8 persone attorno a un tavolo o creando un cerchio con delle sedie; ogni partecipante deve essere lontano dall’altro a sufficienza per poter godere di una certa privacy. Si discute il problema e si cerca di farlo comprendere pienamente a tutti partecipanti; ogni partecipante scrive su un pezzo di carta una prima ipotesi abbozzata di come potrebbe essere risolto il problema.
Quando l’animatore decide, ogni partecipante passa il foglio al suo collega di destra; ogni partecipante prende spunto dalla proposta fatta dal suo collega e riportata sul foglio per proporre un’altra soluzione; al termine di un certo periodo di tempo scelto dall’animatore, si raccolgono i fogli con le proposte; si classificano le idee emerse e si valutano in gruppo.

Quale modello scegliere?

La mia opinione è che un mix tra il brainstorming e il brainwriting sia uno dei modelli che maggiormente stimolano la creatività.
In questo caso il lavoro è lavoro di gruppo:

  • nella 1° fase ogni gruppo lavora in autonomia ad una propria proposta;
  • si passa poi alla 2° fase, dove ogni gruppo passa la propria proposta al gruppo a fianco, che ha il compito non di criticarla, ma di prenderla come valida e consolidarla come se fosse stata la propria;
  • la 3° fase è quella dell’esposizione e della valutazione da parte di tutti i partecipanti.

Durante tutto il percorso è opportuno che il contesto sia amichevole e conviviale, e, soprattutto, che non manchi la birra 😉

Una community di professionisti deve potere sfruttare la possibilità di lavorare in gruppo partecipando attivamente ad un processo creativo trasversale e slegato dalle logiche di rigidità dettate dalle strutture organizzative.
La costruzione di quella “intelligenza diffusa” è un fattore chiave determinante nella crescita personale e dell’azienda, ed è vitale se pensiamo al tipo di lavoro che svolgiamo e le sfide evolutive che continuamente ci troviamo davanti; l’evoluzione dei comportamenti e dei modelli è ineludibile e il primo passo è rendersi conto che c’è necessità di applicarsi a questo tema, il successivo è superare qualche pudore personale che frena il mettersi in gioco, e partecipare.

Andrea Montefiori: Informatico da sempre, appassionato di scienza e tecnologia. Mi sono districato tra le schede perforate e i nastri dei mainframe anni ’80, passando attraverso una serie di progetti e alla gestione della produzione, fino al momento in cui ho tentato di capire come si addestrano le Intelligenze Artificiali, dopo avere tentato inutilmente di addestrare il mio cane. Ho deciso che lascio fare i colleghi. Per 10 anni Direttore Tecnico in Gruppo Maggioli, sono passato alla Ricerca e Sviluppo con l’obiettivo di portare all’interno dell’azienda nuove energie, tecnologie e modelli lavorativi applicando uno splendido team a progetti innovativi con partner europei e nazionali.
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